DA: Calcutta (VECC) | A: Heho (VYHH) |
DATA PARTENZA:06 agosto | |
ORA PARTENZA : 12:50 (06:20z) | ORA D’ARRIVO :18:30 (12:00z) |
LUNGHEZZA (NM):510 in 5h.40′ | LIVELLO DI VOLO: FL115 |
METEO LUNGO LA ROTTA:SCT a 2.000 ft, BKN a 3.500 ft con CB e pioggia, BKN a 10.000 ft. | |
VENTO IN ROTTA:Calmo, poi 280°/10kts | |
TEMPERATURA AL DECOLLO/ATTERRAGGIO: 37°/21° C. ROUTING:SUMAG – B465 – MDY – CTG – R207 – DCT |
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NOTE: Giornata da raccontare ai nipotini. Con la situazione dei permessi di sorvolo in scadenza, che si andava a sovrapporre con i nostri visti di transito in India (scaduti), con la burocrazia aeroportuale di cui avevamo piene le tasche, insomma con tutti questi fattori, avevamo un solo scopo: metterci l’India alle spalle. Non è che in questa parte del mondo la gente non sia gentile, ma occorre compilare un modello anche per andare alla toilette dell’aeroporto (scherzo, ma non troppo…). Stavolta l’ameno giro è toccato a Paolo e a chi scrive e, dopo due ore che avevamo lasciato gli altri, immaginandoli già accanto ai velivoli, controllati e pronti, ci siamo incrociati nuovamente con il resto del gruppo mentre era in corso una diatriba tra funzionari dell’Immigration e quelli della dogana, per chi si dovesse aggiudicare la terza copia del piano di volo. Insomma, dalle 8 di mattina siamo via via scivolati fino alla mezza, ora in cui, con cinque timbri, 3 firme e due sigle sul piano di volo, abbiamo finalmente chiesto lo “start-up”: quando ci dicono che Calcutta era diventato IFR e che il nostro piano di volo VFR non era più valido, a momenti ci si ferma il cuore. Fortunatamente il “torraiolo”, dopo che abbiamo replicato che avremmo accettato qualsiasi livello e qualsiasi partenza, si è subito ripreso, assegnandoci una SID e mandandoci al punto attesa. Decolliamo super-carichi “modello Amman” per l’ultima delle tratte in autonomia critica: sono 679 miglia (1.257 Km) che ci separano da Chiang Mai e dall’ospitale Thailandia. Il cielo, da sotto, sembra il mare in tempesta: ovunque cumuli in sviluppo e piovaschi, mentre faticosamente ci arrampichiamo verso il livello iniziale, FL095. Dopo mezz’ora di volo, siamo in Bangladesh, livellati in crociera e da lì lo scenario migliora: ci sono sempre quei 3-4 CB isolati che salgono fino all’infinito lungo la rotta, ma si riesce sempre a passare di lato: ogni tanto entriamo e usciamo da qualche AC, ma non è niente di speciale. Dopo un’ora o poco più di volo giungiamo a quello spettacolo imponente che è rappresentato dall’estuario del Gange. Siamo sicuri che le foto daranno un’idea infinitesimale della grandiosità di quanto abbiamo sorvolato. Si procede quindi fino a Chittagong (ancora Bangladesh) dove siamo costretti a chiedere ancora di più alle nostre macchine e salire fino a FL115. Sfiorando i “top” delle formazioni nuovolose procediamo verso Mandalay (Birmania), mentre il terreno comincia a salire e il cielo si squarcia qua e là, offrendoci un nuovo, esotico, panorama: i rilievi, ripidi e sfaccettati come pietre preziose, sono caratterizzati da una vegetazione rigogliosissima. Ogni tanto si apre qualche stretto “canyon” entro il quale scorrono generosi corsi d’acqua. Andando ancora avanti, a circa 100 miglia da Mandalay, le alture terminano di colpo e si apre la vasta piana bagnata dal fiume Chinwind. La pianura è punteggiata da bianchissimi templi budidsti. Giungiamo a Mandalay in anticipo sullo stimato e pieghiamo verso Sud-Est, come impone la nostra rotta. L’euforia si impadronisce di noi: “Chi ha paura del Lupo Cattivo?”, e giù, verso il confine Thailandese, che però è ancora a circa 300 miglia. Gli scenari mozzafiato dei cumuli inclinati dal vento, dei piovaschi isolati e degli arcobaleni, certo ci tengono avvinti con lo sguardo verso l’esterno. Non appena Mandalay Control ci “passa” a un aeroporto del sud Myanmar chiamato Heho, la situazione precipita. Dopo l’ennesima carezza data al CB di turno, ci si spalanca davanti un muro grigio impenetrabile. Il “mostro” parte dal suolo, immediatamente dalle alture sottostanti, a circa 7.000 ft e raggiunge…boh! Ci avviciniamo ancora un po’, ma diventa subito chiaro che non è cosa. Prua su Heho, qualunque aeroporto sia, e anche di corsa. In pochi minuti siamo lì. Heho poggia su un pianoro a 3.800 ft (1.100 metri) di altitudine. Assistiti da una vocina esotica femminile, atterriamo per la pista 36, in macadam, in salita e assai malconcia. Ci fermiamo rapidamente e usciamo sul piazzale. L’accoglienza è immediatamente festosa: arrivano giovani soldati con macchine fotografiche, che non finiscono più di chiederci di posare accanto agli aerei. Dopo pochi minuti ecco il temporale che avevamo evitato e di corsa ci ripariamo nella torre di controllo. Tutto è vetusto e precario ma, al contrario dell’India, c’è ordine e pulizia: in tutti gli ambienti chiusi si entra senza scarpe e sopra le finestre della torre campeggia una statua del Buddha. Il funzionario dell’aeroporto ci anticipa che, essendo l’albergo più vicino a oltre 30 km, i locali si stanno organizzando per accompagnarci lì per la notte. Dopo poco, con l’arrivo di un rappresentante governativo, lo scenario amichevole si sgretola: via i passaporti e non si parla più di alberghi. Sotto la pioggia battente, veniamo condotti in una specie di saletta, dove veniamo interrogati dallo sgradevole individuo. Il quale ci dice che dormiremo lì per terra e tra poco ci porteranno la cena. La tensione comincia a salire: chiediamo quando potremo riavere i passaporti e significhiamo la necessità urgente di fare una telefonata in Italia, per tranquillizzare i nostri cari. La telefonata non è possibile e i passaporti domani, prima di partire. E’ un’esperienza che ci mancava, ma tutti proviamo un senso di disagio mentre, su due piedi, viene allestito un corpo di guardia e un soldato armato già si posiziona all’esterno della nostra stanza. Dopo un piatto di noodles, consumato avidamente da QUASI tutti, ci disponiamo alla meglio nell’improvvisato dormitorio e, fra un abbattimento di zanzara e l’altro affrontiamo la notte. Sono momenti in cui in echeggia, a livello cerebrale, l’interrogativo:” Ma chi m’o fa fa?”. Ma subito il senso dell’avventura prende il sopravvento e sempre più si diventa custodi gelosi di un’esperienza provata da pochi individui del nostro tempo e della nostra estrazione. Domani dovremo – dobbiamo – raggiungere Chiang Mai. |